Il disastro ferroviario del 20 giugno 1911 e la morte del cavaliere Rodolfo Tozzi Condivi

 


DI 

Raffaele Merlini
 


Il disastro ferroviario del 20 giugno 1911 e la morte del cavaliere Rodolfo Tozzi Condivi

La mattina di martedì 20 giugno 1911, la stazione di San Benedetto del Tronto visse uno dei momenti più drammatici della sua storia.

Erano circa le ore 10 quando la locomotiva del treno proveniente da Ascoli Piceno, ferma su un binario di manovra in attesa d’ordine, rinculò improvvisamente verso lo scambio principale, proprio mentre stava sopraggiungendo l’accelerato da Ancona diretto a sud. 


Lo scontro fu violentissimo. Il convoglio in arrivo, già oltrepassato lo scambio con le due macchine e i bagagliai di testa, venne investito di fianco. Le prime quattro carrozze viaggiatori furono squarciate sul lato destro, verso stazione, come raccontarono i cronisti:

> «Un orribile squarcio dal lato destro di tutte le quattro vetture, fracassandole anche nell’interno. Tutti i viaggiatori che si trovavano da quel lato furono colpiti; quelli verso mare rimasero quasi illesi.»

(“La Stampa”, 22 giugno 1911)


Il bilancio fu tragico: due morti – un adulto e un bambino di nove anni – e circa trenta feriti, molti dei quali trasportati all’ospedale civile “Madonna del Soccorso”. 

Le colonne dei quotidiani dell’epoca – La Stampa, Il Popolo Romano, Il Corriere della Sera – portarono in tutta Italia la notizia di un disastro ferroviario consumatosi in pochi secondi sulla costa picena, in un’epoca in cui la velocità era ancora sinonimo di fiducia nel progresso.

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La vittima illustre: il cavaliere Rodolfo Tozzi Condivi

Tra le vittime spiccava un nome noto nel Piceno: Rodolfo Tozzi Condivi di Ripatransone, già sindaco e consigliere comunale del suo paese, uomo di cultura e figura rispettata.

Era salito sul treno alla stazione di Grottammare, diretto ad Ascoli. Si trovava – racconta la cronaca – al finestrino, pronto a scendere:

> «È facile immaginare in quale maniera egli abbia ricevuto tutta la violenza dell’urto e subito la percossa dei rottami che si schiantavano d’ogni parte. Trasportato all’ospedale, spirò immediatamente.»



L’impatto fu tale che il suo corpo venne rinvenuto tra le lamiere, mentre intorno si muovevano i primi soccorritori: ferrovieri, marinai e semplici cittadini accorsi dalla Marina. Per ore, la linea Adriatica rimase interrotta, e l’intera città – dalla stazione al paese alto – rimase sospesa in un silenzio di sgomento.

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Un uomo di cultura e di civismo

Il cav. Tozzi Condivi (1848–1911) apparteneva a una delle famiglie più antiche di Ripatransone, imparentata con i Condivi, casata che diede i natali a Ascanio Condivi, biografo di Michelangelo.

Durante il suo mandato da sindaco (1894–1899), fu promotore della Biblioteca Comunale, fondata ufficialmente nel 1896.

Egli stesso donò 796 volumi al Comune, incoraggiando le famiglie nobili ripane a contribuire: in pochi anni, la biblioteca raggiunse i 2.500 titoli, catalogati e sistemati nella Casa dei Filippini, oggi sede dei Licei “Mercantini”.

Fu tra i primi amministratori marchigiani a intuire che la cultura dovesse essere un bene pubblico, accessibile e gratuito, e la sua iniziativa rappresentò un seme di modernità in un territorio ancora legato alla tradizione.

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Un disastro tra progresso e fragilità


L’incidente del 1911 si colloca in un momento cruciale per la ferrovia Bologna–Brindisi, all’epoca in piena espansione di traffico.

Le piccole stazioni locali, dotate di scambi manuali e personale ridotto, erano vulnerabili a errori di manovra.

Le indagini del Ministero dei Lavori Pubblici accertarono una retrocessione non autorizzata e una mancata chiusura dello scambio come cause dirette, e da quel momento furono introdotte nuove procedure di sicurezza nel compartimento di Ancona.

L’episodio, benché limitato nei numeri, ebbe ampia risonanza perché mostrò quanto sottili fossero i confini tra la promessa di modernità e il rischio del suo stesso slancio.

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Memoria e umanità

Rileggere oggi la cronaca di quel giorno è come rivedere una vecchia fotografia in bianco e nero: il fumo delle locomotive, la folla accorsa, i feriti portati via su barelle di fortuna.

E nel mezzo di quella confusione, la figura di Rodolfo Tozzi Condivi, seduto al finestrino di un vagone, rappresenta quasi un simbolo: l’uomo che aveva donato libri e sapere alla sua città, travolto dal fragore di un progresso che non aveva ancora imparato a proteggere i suoi figli.

Sono solo un appassionato di storia locale – non un accademico – ma ogni volta che rileggo quella pagina sento il bisogno di restituirle voce.

Perché certe storie, anche quando nascono dal dolore, raccontano la dignità di una comunità: quella di San Benedetto, capace di accorrere, aiutare, stringersi attorno ai feriti.

Il cavaliere Tozzi Condivi morì da gentiluomo ottocentesco, con il giornale tra le mani e la curiosità per il mondo, ma la sua eredità rimase nei libri che donò e nella memoria di chi ne ha tramandato il nome.

Il suo esempio ricorda che la cultura è il contrario dell’oblio: un modo silenzioso per restare vivi oltre le frane del tempo, oltre gli incidenti, oltre il rumore delle locomotive che passano.

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