Le cavallette del 1526 a San Benedetto del Tronto



Di Raffaele Merlini


 Quando il cielo mangiava i campi


Premessa: un territorio in bilico tra mare e febbri

Alla fine del Quattrocento, esattamente nel 1491, San Benedetto del Tronto era solo un piccolo castello arroccato sopra la costa, circondato da stagni, paludi e acque malsane formatesi dopo il lento arretramento del mare. Le cronache riferiscono che la malaria aveva decimato la popolazione, tanto che il vescovo di Fermo decise di ripopolarlo chiamando profughi e fuorusciti dalla Romagna, contadini e pescatori esperti capaci di bonificare il terreno e ridare vita al borgo.

Per qualche decennio, tutto sembrò andare per il meglio: i nuovi arrivati portarono forza, lavoro e conoscenze; la pesca riprese, i campi rifiorirono e il “Castello” tornò a vivere. Ma l’equilibrio della natura, si sa, è fragile, e all’inizio del Cinquecento il Piceno dovette affrontare una serie di eventi che sembrarono veri e propri castighi del cielo.

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1526: l’anno in cui il sole si oscurò

L’anno del Signore 1526 è ricordato come uno dei più difficili nella storia agricola e spirituale del Piceno.

Dopo un decennio di stagioni irregolari — fioriture anticipate nel 1522, una grande estate torrida nel 1523, un inverno rigidissimo nel 1525 e poi la carestia del 1526 — le messi erano già scarse quando, nel cuore dell’estate, il cielo stesso parve ribellarsi.

Scrive l’abate Giuseppe Colucci nelle Antichità Picene (Tomo XXIX):

> “Iddio afflisse non solo la Marca, ma l’Italia tutta... e nel 1526, nel tempo estivo, venne un diluvio sì grande di cavallette dal regno di Napoli, che oscuravano il sole.”

Le descrizioni dei contemporanei fanno rabbrividire: “animali ad modo de’ grilli, di corpo nero e coda grossa”, che arrivavano “per la via del ponente verso levante”, ossia dal mare.

Il cronista Bernardino Cirillo narra che “si moveano a certe ore del giorno, e levandosi per aria si sentiva un suono horribile”, come il ruggito di un esercito alato.

Esercito che, spinto dai venti di scirocco, risalì lungo la costa adriatica, dal Gargano fino al Tronto, devastando ogni cosa.

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Fame, paura e fede

Nel territorio sambenedettese, la scena fu apocalittica: i campi di grano divorati, gli alberi scorticati, gli olivi ridotti a scheletri. Gli animali rifiutavano di brucare le stoppie, “infettate dai morsi delle locuste”.

Persino le galline che ne mangiarono alcune iniziarono a deporre uova “corrotte da color sanguigno”.

La popolazione, già provata da fame e malattie, cercò rifugio nella preghiera. Si suonarono le campane, si fecero processioni, si battevano padelle e catini nel vano tentativo di scacciare gli insetti con il rumore.

Un giorno di luglio, raccontano le cronache, una grande pioggia pose fine all’incubo: milioni di cavallette morirono ammassate nei fossi e lungo le spiagge. Il magistrato di sanità ordinò allora che fossero raccolte e gettate a mare, “acciò l’aere non si corrompesse”. Ma dove gli insetti marcirono, nacquero funghi “perniciosi”, che causarono nuovi avvelenamenti: la natura, ancora una volta, pareva ribellarsi all’uomo.

Oggi sappiamo che si trattava di funghi entomopatogeni — organismi che si sviluppano sui resti delle locuste, decomponendo la chitina delle ali.

All’epoca, invece, quei funghi erano interpretati come segno di “aria pestifera”, un avvertimento divino.

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Un evento europeo, un simbolo universale

Il fenomeno non fu isolato: sciami simili colpirono l’Italia meridionale, la Dalmazia e la Pannonia nello stesso anno, come confermano documenti rinvenuti negli archivi di Spalato e Zara.

Era una calamità che univa le due sponde dell’Adriatico in un destino comune.

Proprio in quegli anni, un anonimo miniaturista della Bibbia di Duisburg (XV secolo) dipinse la celebre tavola “Invasione di cavallette”: un’immagine impressionante, in cui il cielo si fa denso come fumo e il sole è un disco pallido sopra campi spogliati.

Quel dipinto, oggi conservato a Duisburg, è la rappresentazione più efficace dello sgomento dell’uomo medievale davanti al mistero della natura.

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Da catastrofe a lezione di equilibrio

Cinque secoli dopo, la lezione di quell’estate del 1526 resta sorprendentemente attuale.

Anche oggi, con il cambiamento climatico, assistiamo a fenomeni simili: in Africa e in Asia le locuste devastano interi Paesi, e nel centro Sardegna, negli ultimi anni, vaste aree agricole sono state invase da cavallette in modo analogo.

La FAO ha lanciato l’allarme: con temperature più alte e piogge irregolari, le condizioni che favoriscono gli sciami sono in aumento perfino nel bacino del Mediterraneo.

La differenza è che oggi non invochiamo più il castigo divino, ma parliamo di squilibri ambientali, siccità, uso eccessivo dei pesticidi. Eppure, sotto un’altra forma, la paura è la stessa: l’idea che la natura, ferita o alterata, possa vendicarsi.

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Conclusione: la memoria del vento

L’invasione del 1526 finì “come piacque a Dio”, scriveva Colucci, “senza umana industria”.

Le cavallette si dileguarono oltre il mare, lasciando dietro di sé un silenzio denso, campi brulli e l’eco di una paura antica.

Eppure, proprio da quella prova, il borgo rinacque più forte: la comunità imparò a convivere con il mare, con il vento, con le febbri e con la fame.

Da allora, San Benedetto del Tronto non ha più temuto la sua terra, ma ha imparato a capirla — come un vecchio amico capriccioso ma sincero.

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🌾 Postilla d’autore

Scrivere di quell’invasione è come sfiorare il confine fra fede e scienza, fra stupore e ragione.

Chi studiava allora credeva che il cielo parlasse; oggi sappiamo che il cielo reagisce. Ma, in fondo, il senso resta lo stesso: ricordarci che ogni equilibrio — umano o naturale — si fonda sul rispetto.

Da modesto appassionato di storia sambenedettese, sento che quella nube di cavallette non fu solo una calamità, ma anche un passaggio di crescita collettiva: un ammonimento che ci parla ancora, quando il mare si scalda, i venti cambiano e i campi tornano a tremare.

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Fonti: Giuseppe Colucci, “Antichità Picene”, Tomo XXIX; Bernardino Cirillo, “Memorie Aquilane”; Archivio di Stato di Fermo, Fondo Comunitativo; 1° Seminario sulla Civiltà Marinara Picena (1995); Bibbia di Duisburg, XV sec. [ Raffaele Merlini ]

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