La rubrica di Diego De Blasi, Dottore magistrale in Relazioni internazionali, questa volta si focalizza sulla delicata tematica : "Beni culturali, archeologia e storia" e su alcune criticità che minano il Patrimonio mondiale dei Beni Culturali. Come risolverle? Perchè tutelare l'Arte e la Storia?
La salvaguardia dei beni culturali: un paradigma per la stabilità e la sicurezza internazionale
di Diego De Blasi
Vorremmo scoprire ed avvicinarci agli innumerevoli siti del panorama storico-artistico che fanno capolino nel mondo, solo per condividere un po’ della loro filosofia estetica, così da scolpirne il senso intrinseco sulla solida metopa della nostra interiorità. È un piccolo passo di un viaggio di mille miglia, non già frutto di una mera curiosità, ma piuttosto di un’azione composita ed individuata al divenire generativi, nonché tesa alla costruzione della pace e sicurezza internazionale. Quando rammentiamo l’inestimabile valore del patrimonio culturale su scala mondiale, attribuiamo un peso specifico alla vita di miliardi di individui e, altrettanto, riflettiamo sulle modalità attraverso cui questo immenso tesoro possa essere preservato da rischi di natura antropica e naturale, per essere poi tramandato alle generazioni future. Che cosa sarebbe, dunque, la Terra – e la stessa umanità – senza la memoria della Colonna Aureliana, senza l’Anfiteatro Flavio? Senza la magnificenza della Basilica di San Pietro e del suo antico impianto paleocristiano? Senza le cattedrali gotiche di Notre Dame de Paris, Chartres et Rouen? Senza la misteriosa cappella di Rosslyn? Senza l’Acropoli di Tirinto e di Atene, le icone scultoree, artigiane ed architettoniche della civiltà minoica, cretese, della Grecia classica? Senza le grandi opere architettoniche dell’Islam, quali la Grande Moschea degli Omayyadi di Aleppo (Siria) e Sheik Zayyed di Abu Dhabi (UAE), sino alla Madrasa di Ulugh Begh di Samarcanda? E poi: un tramonto sul sub-continente indiano sarebbe lo stesso senza il Tempio Sikh di Amritsar o il Taj-Mahal? E che cosa si potrebbe affermare delle antiche dimore del Celeste Impero e della Grande Muraglia? La lista è un viaggio di più di mille miglia, inestimabile. Senza di queste meraviglie, lo “stupor mundi” e la vera memoria non sarebbe più. Repetita iuvant.
Ça va sans dire: la risoluzione A/RES/2625 (XXV) delle Nazioni Unite dichiara che gli Stati devono cooperare in campo economico, sociale e culturale, e in quello scientifico e tecnico, e favorire il progresso della cultura e dell’insegnamento nel mondo”. Alla luce di codesti princìpi, i programmi della cooperazione culturale in seno al MAECI rappresentano un dato funzionale per il raggiungimento di obiettivi condivisi nel mondo della cultura, nonché un mezzo di diffusione dell’eccellenza culturale italiana nel contesto del sistema Paese. L’Italia è indiscutibilmente il primo Paese al mondo per numero di siti UNESCO presenti nel proprio territorio, seguito dalla Repubblica popolare cinese in seconda posizione. Il know how italiano in materia di tecniche di preservazione e restauro dei beni culturali suscita continui apprezzamenti nel mondo. Allo stato dell’arte, dopo i lavori di restauro nel sito di Persepoli nei pressi della città di Isfahan , nonché della Città Proibita (“Purpurea”) a Pechino, la presenza della cooperazione italiana in materia archeologica rimane particolarmente attiva nell' area delle antiche civiltà mesopotamiche: in Iraq e, in maniera specifica, nel c.d. Kurdistan iracheno.
Sotto diversa prospettiva, i beni culturali rimangono ancora oggetto di aspre controversie tra Stati. Si pensi, icasticamente, alla vicenda che ha interessato il millenario Tempio di Preah Vihear: il sito è stato oggetto di contesa tra i Regni di Cambogia e Thailandia, dopo l’occupazione del sito da parte delle milizie di Bangkok nel 1954; detta questione si è conclusa nel 2013, anno in cui la Corte internazionale di Giustizia ha dichiarato la sovranità della Cambogia sull’intero territorio del tempio. Altresì, nei casi particolarmente più gravi, è lo stesso patrimonio culturale ad essere spesso posto a repentaglio nelle aree interessate da conflitti armati internazionali e non. In questa prospettiva, un punctum dolens è rappresentato dalle diverse distruzioni perpetrate da Daesh durante la guerra civile in Siria, in modo particolare a carico del sito archeologico di Palmyra; ovvero, in tema di universalità di beni mobili, la distruzione da parte delle armate salafite – e trafugamento da parte di terzi – dei manoscritti arabi di Timbuktu, una tra le testimonianze più preziose dell’antico mondo arabo – nell’Africa Subsahariana - al milieu delle scienze - chimica, matematica, algebra… - e delle altre discipline. Sia che si parli di fatti avvenuti durante l’occupazione delle truppe islamiste nel nord del Mali, che dei crimini consumati nel conflitto siriano interno, codesti episodi sono voci che gridano con forza alla Convenzione dell’Aja del 1954, nonché al suo protocollo addizionale del 26 marzo 1999 . Altre criticità, che hanno destato l’attenzione da parte della comunità internazionale, sono da ascriversi alla salvaguardia dei beni culturali vis-à-vis i mutamenti climatici ed ambientali. A prescindere dai siti già individuati sul fondo del mare, a cui la Convenzione Unesco del 2001 (Convention on the Protection of the Underwater Cultural Heritage, ratificata dall’Italia nel 2010) dedica una speciale tutela, una recente indagine dello Smithsonian Institute stima nel numero di circa 720 i beni patrimonio dell’UNESCO minacciati dall' innalzamento del livello delle acque marine.
Del pari, questo fenomeno naturale interessa egualmente i diritti fondamentali delle piccole comunità residenti (si pensi alla questione delle isole Tuvalu), in quanto espressioni primarie di cultura e tradizioni, sebbene il rischio a nocumento di edifici d’interesse storico e luoghi di culto possa essere de plano individuabile. Per effetto dell’erosione costiera, alcune aree - tra cui il Tempio buddista di Wat Khun Samut (Thailandia) - rischiano di essere sommerse dalle acque. In termini di comparazione, quest’ultima struttura possiede una collocazione fisica differente ed un rischio aleatorio più elevato, in relazione, ad esempio, alla celeberrima planimetria del Tempio di Angkor Wat (Cambogia), il quale è dotata di un millenario bacino idrico di contenimento (trattasi, peraltro, di acque piovane che riempiono il fossato durante la stagione dei monsoni, n.d.a.).
Va da sé, infine, che la tutela dei beni culturali, a fronte del rischio idrogeologico, possa sempre trovare attenzione e soluzioni atte a preservarne l’integrità funzionale nella comunità internazionale. L’esperienza della traslazione ed il rialzamento, di circa 65 m dal suolo, del sito di Abu Simbel (Egitto) ne è una prova incontestabile; semmai quest’ultima soluzione possa costituire nuovamente un rimedio di successo in termini di salvaguardia degli heritages soggetti al fenomeno dell’innalzamento delle acque marine, è incontrovertibile che detta operazione non abbia mai avuto precedenti, per numero di risorse e mezzi impiegati, nell’intera storia dell’archeologia. Questa è stata la grande impresa che, verso la fine degli anni 60’ del secolo scorso, ha portato a termine il salvataggio dell’intero tempio di Ramses II dall’inondazione del bacino artificiale Nubiano (Lago Nasser) in conseguenza della costruzione della Diga di Assuan.
Diego De Blasi
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