Di Danila Monteleone
La festa Heb-Sed. Il Giubileo regale
dell’Antico Egitto
Un rito di rinnovamento millenario
La festa Heb-Sed, nota anche come giubileo reale o più semplicemente come festa Sed, è uno dei riti più antichi e affascinanti dell’antico Egitto. Celebrata originariamente dopo trent’anni di regno da parte del faraone, serviva a rinnovarne simbolicamente la forza, la legittimità e il legame divino con l’ordine cosmico: la Maat.
Conosciuta sin dai tempi delle prime dinastie (ca. 3000 a.C.), la festa Heb-Sed sopravvisse per oltre due millenni, evolvendo nella forma ma conservando intatta la sua funzione centrale: affermare che il faraone era ancora degno di governare l’Egitto.
In epoca preistorica, i sovrani egiziani venivano uccisi quando diventavano troppo vecchi per poter regnare. Le motivazioni principali di questa pratica erano due, una di natura spirituale-metafisica e una di ordine pratico: la prima risiedeva nella concezione secondo cui il sovrano incarnava la tribù o il clan, e quindi il suo decadimento fisico avrebbe comportato un decadimento dell’intera comunità;
La seconda riguardava l’effettiva incapacità di un re anziano di governare efficacemente.
In un momento imprecisato della preistoria più recente (forse nel Neolitico, comunque nel periodo Predinastico), venne istituita la festa Sed: un rituale nato proprio dall’esigenza di ridare forza al sovrano senza doverlo sacrificare, come avveniva in epoche più remote.
Il nome “Heb-Sed” (in geroglifico: ḥb-sd) è tuttora oggetto di discussione tra gli egittologi. Il
termine ḥb significa “festa”, mentre Sed deriverebbe dalla coda di toro, simbolo di potenza e
attributo sia dei re che degli dèi; certamente il nome è anche connesso con il dio Sed, raffigurato con sembianze canine e associato a Wepwawet, a sua volta accostato in epoca successiva ad Anubi.
Il primo Heb-Sed veniva idealmente celebrato nel 30º anno di regno, seguito poi da ripetizioni ogni 3 o 4 anni. Tuttavia, alcuni sovrani anticipavano il rito per motivi politici, religiosi o propagandistici, come fecero Hatshepsut e Amenhotep III.
Il re Djoser (III dinastia, ca. 2670 a.C.) è il primo sovrano di cui abbiamo testimonianze
monumentali relative a un complesso Heb-Sed completo, grazie al celebre complesso funerario di Saqqara, progettato dall’architetto Imhotep.
Le celebrazioni duravano diversi giorni e si svolgevano in un cortile cerimoniale rettangolare, dove il faraone compiva una serie di rituali pubblici:
Corsa rituale: il faraone correva simbolicamente attorno a una pista sacra, indossando le
corone dell’Alto e del Basso Egitto, per dimostrare la propria vitalità.
Incoronazione simbolica: veniva rappresentata l’unificazione delle Due Terre attraverso la
seduta su troni gemelli.
Offerte agli dèi: si svolgevano processioni con statue divine e offerte per sancire il favore
delle divinità.
Costruzione rituale: venivano eretti padiglioni temporanei o permanenti, simboli dei centri
di potere delle due regioni.
Nel caso di Djoser, l’intero cortile Heb-Sed in pietra rappresenta un’innovazione radicale, poiché traduce in architettura monumentale un rito che in precedenza veniva celebrato con strutture effimere di legno e canne.
Il re che più di ogni altro utilizzò la festa Heb-Sed come strumento di propaganda fu Ramses II (1279–1213 a.C.), che celebrò almeno 13 Heb-Sed. Dopo la prima, al 30º anno di regno, continuò a celebrarle regolarmente, rappresentando se stesso come sovrano eterno, incarnazione di Horus e Ra.
I giubilei di Ramses II sono rappresentati in vari complessi monumentali:
Ad Abu Simbel, dove il re si mostra in eterno vigore;
Nel Ramesseum, con la presenza dei troni gemelli (Alto e Basso Egitto) e processioni
rituali;
Nei testi celebrativi di Karnak e Luxor, dove è definito “Signore delle Heb-Sed”.
La festa Heb-Sed non era soltanto una celebrazione del potere umano. Era un rituale cosmico, volto a garantire il rinnovamento dell’ordine divino sulla terra. Il faraone vi moriva
simbolicamente e rinasceva, rafforzando così il suo legame con gli dèi e con la Maat, la legge sacra che regola l’universo.
( Archeologa Danila Monteleone )
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